Era il figlio maggiore del santo re Milutin (Stefano Uros II) e di sua moglie Elizabeth, una principessa ungherese. Vivendo alla corte dei suoi genitori, l'erede legittimo ricevette una buona educazione, la sua mente era esercitata dallo studio della lingua e degli scritti del suo popolo, e il suo cuore rafforzato dallo studio della Sacra Scrittura e dagli insegnamenti della Fede ortodossa.
I buoni frutti della sua educazione si mostrarono quando il re Milutin fu costretto a inviarlo come ostaggio al capo Tartaro Nogyi. Nonostante i potenziali pericoli, Stefano fu obbediente alla volontà di suo padre e non si oppose, affidando la sua vita al Signore. E la sua speranza non fu vana. Strinse infine amicizia con uno dei Tartari nobili, che riuscì ad aiutarlo nel suo ritorno a casa.
Quando Stefano raggiunse l'età, i suoi genitori stabilirono che egli avrebbe sposato la figlia del re bulgaro Smilatz, e alla giovane coppia fu data la terra di Zeta, dove si stabilirono fino al tempo in cui Stefano sarebbe stato chiamato a succedere al padre sul trono. Nel frattempo rimasto vedovo, il re Milutin si era risposato, e la sua seconda moglie, Simonide, tramò in modo da far si che il loro figlio Costantino ereditasse il trono. Convinse Milutin che Stefano voleva impossessarsi del trono prematuramente, e Milutin, ingannato, diede ordine che suo figlio venisse catturato, venisse accecato per assicurarsi che mai più avrebbe covato un tale tradimento, e che fosse inviato come prigioniero a Costantinopoli.
Il principe fu preso insieme con i suoi figli, Dusan e Dusica, e mentre stavano attraversando Ovcepole (Campo delle pecore), le guardie presero degli attizzatoi roventi e lo accecarono. Quella notte san Nicola apparve in sogno a Stefano: “Non avere paura”, gli disse, “i tuoi occhi sono nelle mie mani”. Confortato non di poco da questa visione, il cieco Stefano arrivò a Costantinopoli. L'imperatore Andronico ebbe pietà del giovane esiliato, e lo ricevette gentilmente. Egli fu presto trasferito nel monastero del Pantocrator, dove impressionò i monaci con la sua mitezza e la sua longanime accettazione dell'amara prova, giuntagli tramite suo padre.
Passarono cinque anni. Re Milutin era divenuto vecchio. Avendo sentito buoni resoconti su suo figlio, il suo cuore si ammorbidì, e richiamò Stefano a casa in Serbia. Prima di lasciare Costantinopoli, Stefano ebbe un sogno in cui gli apparve san Nicola una seconda volta, tenendo in mano un paio di occhi. Quando si svegliò, la sua vista era stata risanata.
Tre anni dopo, suo padre morì, e Stefano, sempre benvoluto dal popolo, fu incoronato re di Serbia da parte del santo Arcivescovo Nikodim nella chiesa di Pec. Il suo fratellastro, Costantino, si risentì per questo rovesciamento di eventi, e sollevò un esercito allo scopo di strappare il trono a Stefano ancora lontano. Desideroso di evitare spargimenti di sangue, Re Stefano inviò una lettera a Costantino:
“Allontana da te questo tuo desiderio di venire con genti straniere per fare la guerra ai propri lustri conterranei, ma veniamoci incontro l'un l'altro, e tu sarai secondo nel mio regno, dato che la terra è grande abbastanza per poterci vivere io e te. Io non sono Caino, che uccise suo fratello, ma Giuseppe, che lo amava, e con le sue parole mi rivolgo a te. Non temere, perché io vengo da parte del Signore. Tu preparasti il male per me, ma il Signore mi ha dato il bene, come ora vedi”.
Costantino fu irremovibile e diede l'ordine di attacco. Nella conseguente battaglia, il suo esercito fu sconfitto ed egli restò ucciso. Per i successivi dieci anni, Re Stefano governò in una relativa pace, e la terra Serba fu prospera. Suo figlio Dusan dimostrò di essere un abile capo militare ed ebbe successo nelle battaglie contro i Bulgari ei Greci, che erano invidiosi dell'ormai potente condizione della Serbia e si erano sollevati contro di essa.
Grati al Signore per queste vittorie, Re Stefano cominciò insieme con l'arcivescovo Daniele, successore di Nikodim, a cercare un luogo per costruire una chiesa. Essi si accordarono su un luogo chiamato Decani, e lì, nel 1327, Re Stefano in persona pose la pietra angolare per quello che sarebbe diventato uno dei più grandiosi e duraturi esemplari dell'architettura ecclesiastica serba. All'interno fu abbellita da splendide icone, a cui altre si sono aggiunte nel XVI secolo, per mano del celebre iconografo slavo Longinos.
Santo Stefano diede generosamente aiuto ai bisognosi. Egli fece inoltre abbondanti donazioni a chiese e monasteri, alla Santa Montagna, a Gerusalemme, Alessandria, e al monastero di Pantocrator a Costantinopoli. Né dimenticò il suo debito verso il Taumaturgo Nicola: commissionò un altare d'argento e lo inviò insieme con alcune icone alla chiesa di Bari, in Italia, dove si trovano le sacre reliquie del Santo.
Dopo aver sopportato in modo davvero cristiano le dolorose prove e tribolazioni incontrate nel corso degli anni, il buon re meritava di vivere il resto della sua vita in pace. Ma era giusto che a lui che aveva sofferto come un martire nella vita dovesse essere concessa la possibilità di ricevere nella morte la corona del martirio. La sua ultima prova fu la più straziante. I successi di Dusan sul campo di battaglia avevano dato a questi sete di potere e fame di gloria, e, incoraggiato dal suo entourage di nobili, decise di affrettare la morte del padre. Nel 1331, santo Stefano fu preso prigioniero e rinchiuso in una fortezza nella città di Zvecan e crudelmente ucciso (secondo alcuni racconti fu impiccato, secondo altri strangolato).
Sin da subito Dusan fu colpito da rimorso. Sinceramente e con lacrime si pentì del suo tradimento, e l'anno seguente, nella festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, prese i resti di suo padre e li trasferì da Zvecan a Decani, dove furono deposti in un sepolcro marmoreo. Nel 1339 la tomba fu aperta, e il suo corpo fu trovato incorrotto. Lo stesso giorno si videro molti miracoli di guarigione. Specialmente il santo re ha dato prova di guarire le malattie degli occhi, e dalle sue reliquie persone non vedenti hanno riavuto la loro vista.